A mio fratello Luciano
Anche il tacere è un discorso!
Marco, tu sai che ad Alessandria Flavio Vespasiano, dopo aver avuto l’adesione di Tiberio Alessandro e poi di Licinio Muciano e il loro riconoscimento militare del suo Regno, libera Giuseppe ben Mattatia?
Non precisamente! Comunque, ho piacere di sentire parlare esattamente di questo episodio, da me poco conosciuto. Permetta però, che chieda in quali mesi del 69 d.C. Vespasiano rimane in città.
In Guerra Giudaica, IV,10.1-10 Giuseppe Flavio mostra il periodo in cui Vespasiano è ad Alessandria e sa dell’elezione di Vitellio ad imperatore, rilevando il suo furore personale e quello del suo esercito dapprima e poi evidenziando i discorsi dei soldati e l’ intenzione del dux di chiedere con lettere l’appoggio di Tiberio Alessandro, governatore di Egitto e quello di Licinio Muciano, governatore di Siria.
Perciò, si può dedurre da Flavio – oltre che da Svetonio (Vita di Vespasiano e Vita di Vitellio ) e da Tacito (Historiae,II,III,IV) da Filostrato (Vita di Apollonio di Tiana, V) e da Dione Cassio (Storia romana,LXIV ) ed altri – che resta in Alessandria dalla seconda metà di Giugno fino ai primi mesi del 70, in quanto i suoi eserciti si spostano, via terra, timorosi delle insidie del mare nella stagione autunnale, mentre lui riceve le delegazioni orientali,come imperator/autocrator, pur facendo nel frattempo qualche rapido trasferimento ispettivo verso la Giudea e la Siria.
Di questo si ha conferma da Tacito – Historiae III e IV,- dove si parla dell’ arroganza di Primo Antonio e del suo contrasto con Licinio Muciano e delle predizioni favorevoli a Vespasiano in attesa dei venti favorevoli per la navigazione.
Vespasiano già è visto come prediletto degli dei in Historiae II ,78 a seguito degli auspici dell’astrologo Seleuco, nel racconto del cipresso improvvisamente caduto e poi rialzatosi a notte, in tutta la sua maestosità, e specie per il miracolo del Carmelo in cui Basilide, sacerdote di un tempio del dio samaritano, a Vespasiano, che faceva sacrificio, prediceva, dopo aver esaminato le viscere, che sarebbe stato il padrone del mondo.
Ad Alessandria, poi, avvengono due fenomeni paradossali che Tacito descrive nel IV libro, 81,1: in quei mesi in cui Vespasiano attendeva ad Alessandria il ritorno periodico dei venti estivi, che fanno sicura la navigazione, avvennero molti prodigi.
Tacito enumera due casi di malati che si presentano a Vespasiano chiedendo la guarigione per ordine di Serapide, a loro apparso di notte: uno è quello del cieco e l’altro dello storpio di una mano.
L’autore mostra la prudentia del dux che chiede ai medici se la cecità e l’infermità dell’arto siano guaribili con mezzi umani e s’informa da esperti e specie da Tiberio Balbillo – ex governatore dell’Egitto, neroniano, il saggio, il direttore della Biblioteca, figlio di Trasillo, il mago di Tiberio!- circa il felice esito del suo intervento ! .
L’imperatore, avuto parere favorevole, in quanto nel primo la forza visiva non è distrutta e può tornare, e nel secondo una pressione col piede potrebbe guarire il malato, pensò che alla sua fortuna si aprissero tutte le strade e che nei suoi riguardi non ci fosse più nulla di incredibile/ nec quicquam ultra incredibile, fra l’attenzione della moltitudine eseguì con serena calma le prescrizioni. Subito la mano dello storpio riprese le sue funzioni e il cieco vide la luce.
Testimoni oculari, conclude Tacito, rammentano entrambi i fatti, anche ora, che che non vi sarebbe più interesse a mentire.
Nel contesto di Alessandria, quindi, accadono prodigi incredibili e Tacito ne aggiunge un altro, quello dell’episodio di un altro Basilide, cioè di un venerabile sacerdote che compare improvvisamente mentre Vespasiano visita il tempio di Serapide, pur essendo malato e lontano dalla città 800 miglia.
Lo storico così chiude: l’apparizione fu considerata un fatto sovrumano e dal nome di Basilide (Basileus-re ) comprese il senso del responso.
Anche Filostrato (170-249 d.C.) parlando di Apollonio di Tiana, che allora era certamente il più famoso tra gli uomini per la filosofia e per la dottrina pitagorica, scrive di un ‘aura sacra in cui si trova Vespasiano in quei mesi ad Alessandria (Vita di Apollonio di Tiana, V, 27-28).
Il tianeo sembra confermare quanto già preannunciato da Giuseppe Flavio (cfr Frontone e gli antonini), che proprio allora, subito dopo l’acclamazione del 1 luglio 69 viene liberato, nel corso delle operazioni navali di partenza per Alessandria.
Vespasiano, unendo i vari episodi e le varie situazioni miracolose e prodigiose, si sente veramente il sothr, voluto dagli Dei per redimere il mondo romano dalle sue colpe e liberarlo dalla guerra civile.
Professore, Alessandria è, dunque, la città in cui si realizza il sogno di Vespasiano, che decide di assumere il comando delle operazioni militari, sulla base dei prodigi italici, di quelli ebraici ed ora di quelli egizi?
Certo Marco, è un momento magico e incredibile, di una fortuna che si manifesta concretamente al dux, ora convinto di essere destinato all’impero per volontà degli Dei. Molti uomini concorrono a dare a Vespasiano questa certezza circa il favore divino, a seguito di sondaggi popolari sul nuovo eletto e sull’ imperatore in carica, dopo la morte di Nerone; tutti osannavano per Vespasiano e per la sua personalità di moderato vir e di civis austerus contro l’esecrato Vitellio, uomo degenerato e smodato.
Ci sembra, quindi, che da una parte la fonte giudaica di Giuseppe e da una altra quella del gruppo pagano-pitagorico di Apollonio concorrano alla acclamazione di Vespasiano ad imperator /autocrator come per una investitura divina, come un anticipo della elezione del migliore, tipica degli antonini, rispetto a Vitellio e a Nerone stesso, considerato degenere giulio-claudio, espressione della vecchia monarchia seppure augusta.
Flavio, infatti, afferma che Vespasiano, essendo dalla sua parte la fortuna ( prochooroushs— ths tuchhs, Guerra giudaica, IV,10,7), non senza il volere di Dio, sale al principato e che un giusto destino lo fa signore del mondo.
Perciò, lo scrittore aggiunge che l’imperatore, in considerazione dei tanti prodigi avuti e in ricordo della predizione, fattagli quando ancora era imperatore Nerone, ritenne opportuno convocare Muciano e il concilio dei legati e degli amici, essendo turbato per non avere ancora liberato il suo prigioniero Giuseppe, dicendo: è una vergogna/ aischron estin…che chi mi predisse l’impero e fu ministro della voce di Dio sopporti ancora la condizione di prigioniero e l’umiliazione di essere in catene.
Vespasiano fa, perciò, togliere le catene e lo licenzia con ricchi doni, dando anche ai suoi generali la speranza di poter spartire la preda giudaica al momento opportuno.
Anche Tito, suo figlio, approva la decisione del padre, cosciente della nobiltà del personaggio, avendo già a cuore la causa giudaica, essendo iniziata la convivenza con Berenice, la sorella di Agrippa II.
Sembra che Vespasiano faccia ciò ad Alessandria poco prima di trasferirsi per brevissimo tempo a Cesarea e poi ad Antiochia e dopo aver dato il mandato a Tito di assediare Gerusalemme, quando già Antonio Primo, partito dalla Mesia, comincia a temere di essere attaccato da Cecina Alieno, vincitore vitelliano della battaglia di Bediacro contro Otone. (ibidem,13,2).
Se Giuseppe è il profeta ebraico, Apollonio, secondo Filostrato, è quello pagano-pitagorico che spinge l’imperatore all’azione contro l’immorale e ghiottone Vitellio.
In effetti Filostrato, dapprima, mostra come Vespasiano sia incitato da Eufrate e da Dione, ma anche da Demetrio ad accogliere tra la sua cerchia di filosofi che lo seguono, anche Apollonio.
Chi sono professore i tre che ha nominato?.
Il primo, Eufrate di Tiro, è filosofo stoico, i cui pochi frammenti non autorizzano una definizione precisa. E’ attivo in Siria e in Roma, dove è in grande considerazione presso Plinio il Giovane, e muore suicida nel 119. E’ anche amico o uno delle cerchia di Apollonio, ma ha con lui una rivalità e, secondo Filostrato, anche invidia tanto da intentargli un processo sotto Domiziano insieme ad un egizio. Il secondo è Dione di Prusa (40-120) in Bitinia detto Crisostomo/ Bocca d’oro per la sua perizia nell’arte retorica, nel corso di un lungo magistero durato dal 70 a 110 d.C: è scrittore famoso che ha lasciato 80 orazioni, di cui abbiamo parlato qualche volta in senso politico, specie circa la costituzione monarchica. Del terzo, Demetrio di Corinto, il cinico, è famosa la sua affabilità con serenità, mai intaccata dagli amici romani, nonostante la franchezza nel dire e l’attacco verso il potere con Nerone e con Vespasiano nel 71- che lo caccia in esilio- e con Domiziano. Di lui si conosce la sua stretta amicizia con Seneca- che ne traccia un profilo e come filosofo e come uomo in De Beneficiis VI,1,3 e De providentia VII 31; e V,5 – e con Trasea Peto, assistito fino alla morte, oltre che con Musonio e con Apollonio, con cui condivide alcune battaglie politiche, specie, quella ultima con Domiziano.
Sono questi, dunque, che consigliano Vespasiano a conservare la costituzione /politeia monarchica per concludere la fase acuta delle guerre civili, iniziate con la rivolta di Vindice in Spagna?
In effetti Eufrate e Dione parlano, uno più a favore della democrazia e l’altro più della monarchia, secondo Filostrato, ma ambedue trattano della necessità di dare potere al popolo a cui far votare la scelta tra democrazia e monarchia – è chiaro che Demetrio sia dalla loro parte e non da quella di Apollonio che asseconda Vespasiano già disposto al regno da altri segni e da altri suggeritori-.
Bisogna dire, Marco, che la divergenza nel gruppo è dovuta alla diversa lettura della storia e della situazione e dello stesso animo umano.
I due, Eufrate e Dione, sembrano essere simili a Marco Agrippa che dà il consiglio di riportare alla libertà democratica repubblicana Ottaviano, mentre Mecenate consiglia Ottaviano di seguire l’esempio monarchico cesariano, in quanto consapevole della necessità di un imperialismo difensivo perché valuta pericolosa la politica aggressiva estera e in quanto ritiene il popolo, non più capace di gestirsi, facile preda della demagogia tribunicia e il senato ormai irrimediabilmente corrotto.
Dione Cassio (St.Rom., LII,2-13 e LII,14-40) scrive, a seguito del dibattito tra Agrippa e Mecenate: da quando ci spingemmo fuori d’Italia, oltrepassammo continenti ed isole lontane e riempimmo tutti i mari e tutte le terre del nostro nome e della nostra potenza non ci è toccato in sorte nulla di buono/oudenos chrhstou meteschhkamen: anzi cominciammo prima in casa e dentro le mura con gli scontri tra fazioni avverse per poi portare, in seguito, questo malanno fino alle legioni; a causa di questi avvenimenti, la nostra città come una grande nave da trasporto carica di una moltitudine di diverse razze e senza un timoniere è ora in balia delle onde e scuote molte generazioni, agitandole qua e là come se non avesse la chiglia.
L’autore del III secolo aggiunge per bocca di Mecenate una esortazione ad Ottaviano: non permettere che essa rimanga oltre alla mercé della tempesta…e non lasciare che vada a squassarsi contro uno scoglio -Ibidem 16,2-.
Professore, la metafora della nave è antica ed è già in Erodoto che fa discutere gli uccisori di Gaumata sulla necessità di una nuova costituzione da dare alla Persia, dopo la morte di Cambise?!.
Certo, Marco la metafora della nave, esistente, è ripresa da Dione di Prusa che ha presente la situazione del 69 e tutto il periodo giulio-claudio, comunque, mal interpretato e letto come si rileva in Filostrato (Vita di Apollonio di Tiana, V,27-41).
Al di là della questione sulla scelta della forma di governo, Filostrato dedica all’analisi di Eufrate e di Dione molte pagine circa la situazione del 69, vista, però, dall’Egitto e specificamente da Alessandria, la sede della filosofia, della scienza, della tecnica.
Infatti sembra che Vespasiano, dopo una breve assenza per un’acclamazione militare a Cesarea e per una riunione speciale a Berito, ed un’altra ad Antiochia, (cfr. Frontone e gli antonini ) rimanga stabilmente ad Alessandria, da dove guida i suoi uomini impegnati nella guerra civile contro Vitellio, specie quelli di Antonio Primo, giunto in Italia dalla Pannonia con la legione tredicesima, a cui si aggiungono poi altre come la settima galbiana per un complesso di sei legioni (tre di Mesia, due di Pannonia ed una di Dalmazia).
Il mandato, comunque, non è rispettato da Antonio Primo: bisognava attendere a Verona l’arrivo di Licinio Muciano prima di attaccare il nemico (Cfr. Tacito. Hist. III,1-36), ed invece il legatus agisce prima di ricevere ordini, che sembrano sempre giungere tardivamente. Inoltre da Alessandria il pericolo dei vitelliani è minimizzato, anche se Vitellio ha legati di grande valore, seppure divisi da discordie e da invidie personali.
Perché Vitellio non è stimato ed è, direi, sottovalutato dagli storici, professore? Possibile solo per la sua immoralità?
Marco, c’è una reale morale ragione che condanna universalmente il figlio di Lucio Vitellio, che come legatus tiberiano era stato impeccabile, funzionale ed abilissimo contro Artabano III.
Aulo Vitellio è uomo spintria, da giovane, con Tiberio nel periodo di Capri ( cfr.Caligola il Sublime) e così macchiato, è bollato dal popolo come caprino, perciò immorale, spendaccione, dilapidatore di patrimonio, gaudente crapulone, degenere, nonostante la fama di militare del padre Lucio che, avuto il governatorato di Siria, grazie al culetto del figlio, è legatus fortunato ed abile a vincere il re dei re e capace di imporre il trattato di Zeugma nel 36 d.C, espletando in pieno il mandato imperiale di riportare l’ordine in Provincia con l’aiuto di Albani e Sciti, dopo aver punito i socii alleati dei parthi ( Areta IV, Jehoshua, Monobazo ed Izate). Il padre, poi, in epoca caligoliana e claudiana diventa ricchissimo e potentissimo in quanto è persona che sa adulare e riconoscere come divino l’imperatore, abituando patres, equites e il popolo romano alla proskunesis orientale, che diventa pratica cultuale a Caligola-poi fino a Nerone-e alle sue statue: il figlio, sulla scia del padre- che durante la guerra britannica raggiunge il vertice del potere a Roma dove svolge le funzioni stesse imperiali – fa carriera, nonostante l’ambigua personalità sessuale e l’ingordigia nei banchetti.
L’invidia verso la domus dei vitelli è grande, anzi grandissima, dati la ricchezza e il potere, cresciuto sotto Claudio e Nerone! Da qui la frase volgare ambigua ed equivoca : I, Vitelli, dei romani sono belli/ va, o Vitellio, al suono della guerra del dio Romano !.
Per Svetonio – Vitellio, XIII – l’imperatore pranzava tre e talora quattro volte al giorno facendo distinzione tra colazione, pranzo, cena ed orgia, riuscendo a sopportare ogni eccesso per l’abitudine a vomitare .. ogni banchetto costava non meno di 400.000 sesterzi. La sua crudeltà è proverbiale: uccide chiunque dopo averlo blandito, senza badare ai titoli, a volte attirandoli con la promessa di associarli all’impero, facendo fuori usurai, pubblicani e creditori, se gli chiedono la restituzione di cifre.
Famosissimo è il banchetto, offertogli dal fratello, che gli mette in tavola duemila pesci della migliore qualità e settemila uccelli, ma fa di meglio da solo con “lo scudo di Minerva” che risulta una portata inimitabile perché fa porre in un vassoio fegati di scari, cervella di pavoni e di fagiani, lingue di fenicotteri, lattigini di murene, portati per lui da ogni parte dell’impero, insaporiti col garum!
Divenuto governatore di Africa, non demerita come amministratore per due anni, anche se si attira per la sfacciata lascivia il disprezzo perfino di Galba che, comunque, lo fa governatore della Germania inferiore (Cfr. Svetonio, Vitellio).
E’ davvero un civis contaminato dal potere ininterrotto con Tiberio, Caligola, Claudio e Nerone e poi con Galba, sceso alla massima abiezione morale e, perciò, è esecrabile rispetto perfino a Flavio Vespasiano, che, pur essendo uomo provinciale, taccagno, sabino conservatore, non è certamente uomo onesto e liberale, anche se è civis che, comunque, si è barcamenato nell’amministrazione pubblica perché si è tenuto lontano dalla corte e ha avuto potere militare senza effettivo merito, in un momento grave per Nerone, che non ha elementi di ricambio fidati.
La celebrazione della fonte di Filostrato (Vita di Apollonio di Tiana) che evidenzia le virtù proprie di Vespasiano quires e pater familias sessantenne, con buoni figli, già militari efficienti, presenta molti punti oscuri rilevati in controluce, comunque, dall’autore, per bocca del Tyaneo, che esamina con Dione di Prusa e con Eufrate, e l’uomo, che deve regnare, e il modus regnandi da adottare!.
L’uomo, che Apollonio ha di fronte ad Alessandria, secondo lo scrittore severiano è un personaggio mediocre, che non ha la supremazia neanche in famiglia dove Flavio Sabino lo sovrasta in quanto buon governatore di Mesia per 7 anni e prefetto di Roma per 12 anni, guida seria di coorti di pretoriani e di vigiles, uomo moderato e parco nel versare il sangue dei cittadini – Tacito, Hist. III,75 che afferma ante principatum Vespasiani decus domus penes Sabinum erat/ prima del principato di Vespasiano, la dignità della casa era riposta nella persona di Sabino.
Ora, invece, tutto è cambiato a causa della alonatura della sorte: Vespasiano è quasi benedetto dalle moire e dalle necessitates, avendo già avuto una investitura ebraica con una predizione che si sta realizzando e concretizzando con la definizione di Messia, di unto del signore, destinato a pacificare il mondo romano: la liberazione di Giuseppe ben Mattatia e la sua assunzione del nome gentilizio Flavio sono prove certe dell’attuazione dell’amphibolon khrugma giudaico!.
Sembra chiaro che Filostrato nella scrittura del bios sia influenzato, comunque, da Dione di Prusa che tratta nella I, II, III e IV Orazione della Regalità e nella LXII della Regalità e Tirannide (cfr. Dione di Prusa, 0razioni I,II,III Sulla regalità e Orazione LXII sulla Regalità e tirannide di Gustavo Vagnone, Accademia dei Lincei, Bollettino dei classici Supplemento, 2012).
Nella stessa epoca di Filostrato anche Dione Cassio, scrivendo il libro LII, fa un trattato che verte sulle discussioni tra Agrippa, Mecenate ed Ottaviano, prima di diventare Augusto ed assumere il potere.
Forse, professore, è un tema caro agli storici del III secolo perché molti hanno in mente i vari trattati sulla monarchia Peri ths basileias, ellenistici, che si rifacevano a Erodoto,- che nel libro III,80-84 faceva discutere sul principato, sulla democrazia e sulla oligarchia Dario, Otane e Megabizo-?
Certo, Marco, sia gli scrittori flavi che quelli antonini e severiani volendo denigrare la domus giulio-claudia non possono, però, fare a meno della figura augusta di Ottaviano, da cui hanno effettivo potere.
Comunque, mi può precisare il discorso di Apollonio e dei suoi amici viventi e durante il regno Flavio e in quello antonino, per meglio capire il sistema severiano per mia personale cultura?
Certo, Marco. Apollonio non è andato incontro a Vespasiano che entra ad Alessandria con i sacerdoti e con le autorità di Egitto a cui sono mescolati anche gli studiosi di ogni forma di sapienza e i filosofi suoi amici.
L’imperatore, entrato da porta Sole, in città, chiese allora: si trova qui l’uomo di Tiana? Si, fu la risposta, per renderci migliori.
E come si potrebbe incontrarlo?: Ho bisogno di lui!.
Lo troverai al tempio, rispose Dione, così mi diceva, quando venni qui.
Andiamo, concluse il re, per pregare gli dei e stare insieme ad un uomo di valore.
Apollonio, il giorno dopo, vede Vespasiano, che fa un sacrificio e che dà udienza ai notabili. Il sovrano, allora, gli chiede, quasi in atto di preghiera: Fammi re!.
E lui risponde : già l’ho fatto quando supplicavo di aver un sovrano giusto e nobile e saggio, adorno di veneranda canizie e padre di figli legittimi; appunto te , invoco, dagli dei!.
Vespasiano è contentissimo di ciò e chiede: cosa pensavi dell’impero di Nerone?
Nerone certo sapeva accordare la cetra, ma disonorava l’impero stringendo ed allentando troppo!.
La risposta è interpretata da Vespasiano:
tu, dunque, esorti il sovrano a tenere il mezzo?
Il tianeo aggiunge:
non io esorto, ma il dio, che ha fissato che l’equo coincida col mezzo!.
A questo punto Apollonio presenta i suoi amici Eufrate e Dione come ottimi consiglieri ed, allora, Vespasiano esclama : possa io regnare su uomini sapienti e i sapienti su di me!.
In seguito Vespasiano prende Apollonio per mano e lo conduce a palazzo, a Lochias, e confidandosi, mostra la sua umana, semplicistica condizione di privato che a 60 anni aspira al potere, desiderando spiegare le proprie ragioni: Certo ad alcuni parrà che io agisca in modo puerile, assumendo l’impero a 60 anni di età. Esporrò, dunque, le mie ragioni a te, perché tu possa ripeterle agli altri.
La sua esposizione verte : 1.sulla assenza di cupidigia del denaro e sulla indifferenza o moderazione nella ricerca di onori e cariche; 2. sui rapporti con la divina famiglia giulio-claudia accettata (e non criticata ) verso la quale non ha complottato neanche contro Nerone, avendo lui una dedizione per Claudio; 3. sulla personale afflizione nella constatazione dello scadimento dell’impero, passato da Galba ad Otone e ora a Vitellio, un crapulone, un amante di profumi, un avvinazzato, uno schiavo delle meretrici.
Ed infine Vespasiano arriva a dire di appoggiarsi ad Apollonio perché gli dei lo aiutino nella sua impresa di combattere contro Vitellio: viene usata da Filostrato una frase del codice marinaresco ek sou. peisma ballomai / getto da te una gomena per indicare che l’imperatore vuole confidare in chi più degli altri conosce il valore degli dei.(Ibidem, 29).
E’ scaltro come un agricoltore sabino, professore! E’ uomo intelligente, come Berlusconi, dedito al culto degli dei, che sa accaparrarsi i sapienti di Alessandria e li sfrutta per farsi proclamare anche dalla cultura autokrator: oltre all’investitura religiosa ha ora anche quella dei filosofi! E’un politikos di rango che si serve dei Media e della Tv, dopo aver avuto il riconoscimento dei banchieri alessandrini ebraici : tradisce, poi, sia gli uni che gli altri!. E’ furbo come un Salvini col rosario!
Esamina bene la situazione, che, però, è ancora più complicata, Marco . Io sarei più cauto nel giudicare: aspiro alla epochh/sospensione dal giudizio e non approvo il mettere a confronto passato remoto e presente, improponibile in ogni caso!.
E’ vero professore: lei ragiona così!.io resto, comunque, nella mia opinione: Vespasiano è uno scaltro agricoltore, sabino, politikos raffinato! Comunque, seguiti a narrare del racconto di Filostrato!
Apollonio, Marco, in modo ispirato, allora, dice, facendo una doppia predizione: Zeus capitolino, poiché so che tu sei arbitro della situazione, conserva il tuo favore a questo uomo e lui a te stesso. Il tempio che ieri empie mani bruciarono è destino che da costui ti sia ricostruito!.
Da profeta Apollonio vede i fatti che poi accadranno al fratello maggiore dell’imperatore, Sabino, e a suo figlio Domiziano, l’incendio del tempio di Giove ad opera dei vitelliani e la morte di Vitellio spergiuro e la successiva ricostruzione flavia del Tempio (Ibidem 30).
Perciò, approva che Vespasiano sia adirato e rabbioso nei confronti del miserabile ghiottone Vitellio, che è entrato a Roma a suon di tromba indossando il paludamento e con la spada al fianco, tra le insegne e i vessilli, circondato dai suoi compagni in divisa e dai suoi soldati con le armi snudate ( Svetonio Vitellio XI).
Il tianeo è con Vespasiano quando giungono le notizie sul primo atto di Vitellio, quello di assumere il pontificato massimo, giudicato anch’esso atto esecrando perché fatto nel giorno della sconfitta dell’Allia: approva la sua reazione quando conosce il secondo atto anche esso infausto, quello di nominarsi console per dieci anni, come Cesare, e il terzo, quello ancora più vergognoso di fare un sacrificio espiatorio ai Mani di Nerone, suo benefattore!
Il periodo di Alessandria non è solo un momento fortunato di consenso generale e di acclamazione popolare, ma è anche di attesa con paura per la sua famiglia impegnata a Roma, con Domiziano figlio minore e col fratello Flavio Sabino e della sorte dei suoi eserciti ,impegnati in ogni parte del mondo romano, in Spagna come in Britannia, in Mesia come in Italia, oltre alla guerra giudaica non conclusa.
Certo, dopo l’assunzione di potere, la guerra civile è un ludus difficile da giocare anche con i suoi partigiani, con uomini che come Antonio Primo sono ambiziosi e desiderosi di acquisire subito meriti per essere sul carro del vincitore con aureola, anticipando i tempi e correndo rischi, che un dux prudens avrebbe potuto e dovuto evitare, essendo sicuro l’arrivo delle truppe siriache di Licinio Muciano.
Ad Alessandria, l’imperatore attende l’esito della spedizione di Antonio Primo che, dopo una marcia, arriva nel suolo italico ed è affrontato a Bedriaco presso Cremona dalle truppe di Vitellio che viene sconfitto e, data la distanza, non può impedire il saccheggio della città e le stragi e la distruzione.
La successiva marcia verso Roma con l’entrata in città dell’esercito vincitore, quando ancora i nemici trattano la pace, risulta pericolosa per il figlio e per il fratello. Vitellio è spergiuro per natura ed è uomo senza onore: lascia Sabino che ha fatto la proposta di conciliazione, concedendo salva la vita a patto di pagare cento milioni di sesterzi alla presenza di una folla di soldati, e rinvia la sua decisione di una notte, ancora desideroso di giocare le proprie carte!.
A sera, perciò, vestito a lutto, si presenta ai rostri per leggere la formula di abdicazione su un foglio scritto in modo da coinvolgere il popolo e i soldati, suoi fedeli, e al mattino ripete la stessa scena per avere consensi, nonostante le rimostranze di Sabino che invia il primipilare Cornelio Marziale per ricordargli l’impegno giurato (Tacito ibidem,70).
Infatti, poi, con l’aiuto popolare Vitellio fa assalire Sabino sul Campidoglio col nipote Domiziano e dare alle fiamme il tempio di Giove Ottimo Massimo, mentre banchetta nella casa di Tiberio ( Svetonio Vitellio, XV) ,
Nello scontro armato del 21 dicembre muore Sabino, mentre si salva a stento Domiziano. L’arrivo delle truppe di Antonio Primo, il giorno dopo, o il 23 a Saxa Rubra ( Tacito, Hist.,III,79) volge la situazione a favore dei flaviani, che prendono ed uccidono Vitellio, oltraggiato dal volgo, da morto, con la stessa viltà con cui l’aveva adulato da vivo/ vulgus eadem pravitate insectabatur interfectum, qua foverat viventem (Tacito Hist.III , 85,3) e salutano col nome di Cesare Domiziano (Ibidem,86,4).
In questa situazione si trova anche il filosofo Musonio Rufo (Hist., Ibidem,81) che, comunque, risulta inopportuno, col suo sproloquio filosofico, in senso democratico, a tutti e per poco non ci rimette la vita! .
Il senato, ricevuta una lettera di Vespasiano, gli concede con un decreto tutte le prerogative abituali del principe, come colui che sembrava aver purificato il mondo.
Vespasiano allora parla di sé per lettera come di un principe moderato e dello stato e del senato con rispetto, ed ottiene il consolato insieme al figlio Tito, mentre a Domiziano è concessa la praetura col consulare imperium.
Il senato, dopo la morte di Vitellio, onora con le insegne trionfali Licinio Muciano, col privilegio consolare Antonio Primo, con quelle pretorie Cornelio Fusco ed Arrio Varo e Elvidio Prisco uomo esaltato per la saggezza stoica, genero di Trasea Peto/ cunctis vitae officiis aequabilis,opum contemptor, recti pervicax, constans adversus metus / coerente con se stesso nella pratica di ogni dovere, sprezzante delle ricchezze, assertore tenace del giusto, inaccessibile alle intimidazioni – Tacito, Hist.IV, 5.2-.
Messaggeri arrivano continuamente ad Alessandria per notificare quanto avviene in Italia e a Roma, mentre Vespasiano comincia a godere dei vantaggi del riconoscimento ufficiale del suo titolo imperiale in Oriente e anche in Occidente.
Il colloquio, descritto da Filostrato tra Vespasiano ed Eufrate è proprio di questo fortunato momento, quando già la situazione è in mano all’imperatore, riconosciuto da tutti, compreso Giuseppe Flavio, libero.
Mi descrive professore il colloquio di Vespasiano con i singoli personaggi, secondo la narrazione di Filostrato?
Subito, Marco.
Vespasiano ad Alessandria è nel palazzo dei Tolomei, dove ora già riceve i notabili, fa udienze, emana decreti, svolge le funzione di imperatore come se fosse a Roma, convinto dai miracoli di essere il salvatore venuto dall’Oriente per riportare la pax in Occidente, turbato dalla guerra civile.
Eufrate e Dione col Tianeo sono ricevuti a corte dall’imperatore, che dice di aver già esposto i suoi motivi al nobile Apollonio, che già ha informato gli amici del colloquio privato avuto.
I tre replicano che ritengono giuste le ragioni imperiali ed allora l’imperatore aggiunge: oggi discuteremo insieme sulle decisioni prese perché io possa agire nel modo migliore e secondo il vantaggio dell’umanità, dopo aver mostrato come da Tiberio fino a Vitellio l’impero sia stato in mani sbagliate di romani degeneri e di viri malati o immoderati.
La conclusione di Vespasiano è la seguente: vedendo, dunque, miei cari, in quale discredito sia caduto l’impero a causa di questi tiranni, vi scelgo come miei consiglieri perché mi sappiate indicare come restaurarlo riscattandolo dall’odio che per esso prova l’umanità intera.
Vespasiano, dunque, è già pronto al restauro, convinto della sua missione divina di autokrator e dell’utilità pubblica della sua impresa?!
Certo. Marco. Aggiungo che crede perfino in una missione per il bene del mondo. Ascolta, però, la risposta di Apollonio, che si fa da parte per dare spazio alla critica pesante prima di Eufrate e poi a quella più moderata di Dione, che attenua i toni censori: un flautista dei migliori soleva mandare i suoi discepoli dai musicisti più scadenti perché apprendessero come non si deve suonare. Tu, mio sovrano, hai appreso come non si deve regnare da coloro che regnarono in modo scellerato: come si deve regnare sarà l’oggetto della nostra indagine.
Attento, Marco, Il tianeo è uomo divino che conosce passato, presente e futuro, conosce l’animo umano ma intende fare indagine sul come regnare. Per meglio farti entrare in merito alla situazione ti preciso, Marco, che il colloquio con l’imperatore avviene per Filostrato poco prima della notizia della morte di Vitellio, quando Sabino ha fatto già la sua proposta di abdicazione il 21 dicembre, data probabile.
Grazie, professore, andiamo avanti!
Mi sembra, comunque, che Apollonio col suo dire accetti già il Regno Flavio e che vuole solo indicare come regnare, dare cioè un’alternativa al regnum negativo dei Giulio-claudi e del tiranno Vitellio.
Marco, in seguito, vedrai perché il tianeo parla così. Per ora senti il discorso dei suoi amici.
Lo stoico Eufrate non accetta il fare di Vespasiano ossequioso verso il Tianeo, proprio dei postulanti da oracoli, e si mostra irritato.
La sua irritazione è nei confronti di Apollonio che fa spectaculum col suo dare oracoli e di Vespasiano stesso che, senza accertare se l’azione del regnare debba farsi, chiede circa i modi della realizzazione, prima ancora del fatto, convinto di dover restaurare un impero scaduto, certo che il destino gli ha concesso il Regnum.
A me, Marco, sembra giusto il suo rigido pensiero generale stoico (non si deve adulare gli istinti, né acconsentire sconsideratamente a quanti agiscono senza freno, ma, se davvero siamo filosofi, abbiamo il dovere di richiamarli alla misura!) e doveroso e il richiamo alla misura e il rimprovero filosofico sull’oggettività della realizzazione senza l’accertamento della necessità dell’azione (Occorreva stabilire se convenisse questa azione: ma tu ora chiedi di dirti in che modo essa andrà realizzata, senza aver ancora accertato se si tratti di un’azione che si deve compiere).
Eufrate è polemico prima coi filosofi e saggi, che accettano l’elezione ad imperatore già di Vespasiano, quando, invece, prima, bisogna stabilire se abrogare la monarchia o ripristinare la repubblica e poi in caso di accettazione della monarchia, nonostante lo scadimento verificato dell’istituzione, indicare i modi di regnare.
Eufrate, comunque, opportunamente precisa: io sono d’accordo che Vitellio va deposto poiché so che è un uomo turpe ed intossicato da ogni infamia. Altrettanto so che tu sei un uomo di valore e che ti distingui per il tuo nobile animo, ma sostengo che non devi correggere la situazione prodotta da Vitellio, senza sapere ancora quale sarà quella che intendi creare tu!.
E’ discorso stoico tipico di Posidonio di Apamea(135-50 a.C.) che, partendo dalla dignità morale dell’uomo, esprime il pensiero politico di un parrasiaths che, pur con cautela, dice la verità, contro perfino i saggi eterodossi come Apollonio, come i profeti del tipo dell’ebreo Giuseppe, o come gli opportunisti sofisti come Dione di Prusa.
Per Eufrate non si può accettare l’idea di Regnum, senza essere stata vagliata: quanto è nella mens /nous del dux deve essere manifestato ed esaminato prima dell’accettazione e del consilium !
Eufrate è scomodo come Musonio, che, in nome della vera filosofia, da bastian contrario, pensa che bisogna stabilire – se si vuole veramente indagare – se conviene questa azione cioè il regnare, da precisare in ogni dettaglio, e che non si può farla senza tale studio preventivo circa la correzione, mentre Vespasiano la considera scontata e corretta e già passa alla fase successiva, al modo di realizzare il suo principato.
Per Eufrate il sovrano nella sua ambizione già ha messo il diadema grazie alla predizione del sacerdote ebreo, che ha rivelato l’oikonomia divina e la funzione soterica dell’imperatore, indicando la predilezione degli dei per l’uomo destinato al potere imperiale, ormai accettato dal popolo e dall’ esercito, dopo aver avuto implicitamente anche l’assenso del Tianeo.
Insomma Eufrate dice che bisogna fugare questo equivoco di fondo e mettere sul piatto della bilancia la necessità di far abdicare Vitellio e nello stesso tempo il piano che ha in mente Vespasiano circa il principato e poi decidere: non è possibile fare abdicare Vitelio senza conoscere le reali intenzioni di Vespasiano!
E’ sotteso anche un attacco ad Apollonio, che ne alimenta le aspettative, in quanto conoscitore del futuro e succube del destino della famiglia flavia, come se il fatum personale fosse immutabile e che vana sia l’opera umana.
Eufrate mostra che solo nel confronto delle personalità di Vitellio e Vespasiano è favorevole al secondo: lo stoico ha infatti un giudizio non certamente positivo sull’uomo e sul dux, rilevato come ambizioso, come vecchio opportunista, ma vile di animo, fin da giovane, per non avere avuto coraggio di fronte a Caligola, a Claudio e specie a Nerone e per essere vissuto nel compromesso, come fallito nelle proprie aspirazioni!
La sua preferenza tra i due imperatores è solo per la migliore apparente figura morale di Vespasiano, messo a confronto con un mostro di corruzione come Vitellio!
Eufrate coglie esattamente il carattere senile di Vespasiano che sfrutta il momento fortunato, ma ne mostra la pochezza di animo, tipica di suddito che nel periodo giulio-claudio giustifica la propria condotta dando la colpa alla fortuna o al timore di competitori superiori.
Da qui l’aperta accusa di viltà – seppure mitigata da una forma di moderazione – perché ha temuto Nerone, l’uomo più vile ed inetto di tutti.
La sua requisitoria è feroce contro Vespasiano: il tentativo che osò Vindice contro di lui, per Eracle, spettava a te più che a chiunque altro. Avevi infatti un esercito, le forze che conducevi contro i giudei erano più adatte a sconfiggere Nerone.
Il suo è anche un attacco contro il genos giudaico, già considerato gens taeterrima!
Quelli da gran tempo erano in rivolta non solo contro il popolo romano ma contro l’intero genere umano. Un popolo, che ha scelto l’isolamento totale, che non divide con il resto dell’umanità né la mensa né le libagioni, né le preghiere, né i sacrifici, è più distante da noi che da Susa e Battra o gli Indiani che vivono al di là di questi paesi!.
Giudica perfino negativamente la azione di Vespasiano antigiudaica: non aveva senso alcuno punire la loro rivolta, anzi era meglio non annetterli neppure!.
Aggiunge che tutti gli uomini avrebbero voluto uccidere Nerone con le proprie mani perché beveva il sangue degli uomini e cantava in mezzo alle stragi e afferma che lui tendendo le orecchie alle sue imprese giudaiche rifletteva quando gli dicevano che avevi ucciso 30.000 giudei in una battaglia e 50.000 in un ‘altra: cosa fa quest’uomo?. non c’è qualcosa di più importante?
Professore, sembra che Eufrate non consideri affatto una grande azione l’aver sconfitto gli ebrei che, d’altra parte, sono una stirpe non integrata nel Kosmos romano ellenistico e ritiene inutile la stessa annessione.
Certo Marco. Devi, però, considerare che i fatti storicamente sono lontani e che Filostrato conosce anche l’ annientamento del popolo giudaico ad opera di Adriano.
Comunque, alla fine, attenuando la sua requisitoria, Eufrate dice: ben hai identificato in Vitellio una copia di Nerone e muovi contro di lui; fa quello che hai deciso poiché è un’azione meritoria, ma il seguito deve essere questo.
Questo, Marco, è subito detto con franchezza: i romani prediligono il regime democratico ed hanno acquistato gran parte del loro potere quando erano una repubblica. Metti fine alla monarchia di cui hai detto tali cose. Rendi ai romani il governo del popolo e a te la gloria di aver iniziato per loro un tempo di libertà….
Quindi, Eufrate, indicata la preferenza dei romani, esorta Vespasiano a ridare la forma repubblicana e con due imperativi chiede, se vuole avere la gloria di essere i primo a ripristinare il sistema, di mettere fine alla monarchia degradata e di rendere al popolo la libertà.
Apollonio nel frattempo che fa, nel corso della critica di Eufrate?
Niente. Sembra guardare Dione e lo invita a dire il parere, sicuro di avere un qualche suo consenso, conscio della moderazione del sofista, che sa barcamenarsi davanti al potere con la retorica, anche se nota una certa adesione al pensiero dello stoico.
Infatti Dione, presa la parola, sintetizza il suo pensiero politico e monarchico in relazione alla sua opera, già nota, essendo sostanzialmente concorde con Eufrate, anche se ha qualche frase di dissenso.
Insomma Dione ragiona secondo un opportunismo politico in quanto è cosciente che Vespasiano è ormai il signore di Roma e nel contesto retorico alessandrino fa il suo trattato monarchico su una base,comunque, di critica stoica.
Così infatti esordisce: anch’io avrei suggerito che era molto meglio deporre Nerone, anziché soggiogare i Giudei: tu invece davi l’impressione di adoperarti perché mettendo rimedio ai guai della sua situazione se ne rinforzava il potere su tutte le vittime del malgoverno.
Sull’impresa contro Vitellio dice: approvo.. e giudico merito più grande impedire il sorgere della tirannide che porre fine ad una già affermata…
E poi afferma: la democrazia mi piace; e invero questo regime è inferiore all’aristocrazia, ma per i sapienti è di gran lunga preferibile alle tirannidi e alle oligarchie.
Dione aggiunge: temo che questa serie di tiranni abbia ormai corrotto i romani al punto di rendere difficile il mutamento e che essi non sappiano più essere liberi né sollevare lo sguardo alla democrazia al pari di coloro che dall’oscurità mirano verso la luce viva.
Perciò concorda con Eufrate e dice che Vitellio deve essere cacciato dal potere e quanto prima,e che Vespasiano avrà la meglio facilmente in caso di guerra e dopo la vittoria dovrà affidare ai romani la scelta della loro costituzione e se dovessero scegliere la democrazia, il retore, deciso, dice: concedila!
Allora per il retore questa concessione darà più gloria di molte tirannidi e di molte vittorie olimpiche tanto da avere dappertutto statue di bronzo ed encomi quali non ebbero Armodio ed Aristogitone ( i due tirannicidi di Ipparco!).
Questa è la sua conclusione: se dovessero preferire la monarchia a chi altro se non a te tutti decreteranno il regno? A te più che ad un altro daranno ciò che già avevi.
I due consiglieri hanno dato nel complesso lo stesso consiglio: dopo la vittoria bisogna dare la possibilità di votare al popolo, che è il vero padrone politico e giudice, secondo l’etica platonico-stoica!
Certo, Marco, i due hanno inteso la loro funzione di consiglieri e il termine consiglio come se fossero in un sistema democratico e come se si trovassero in un senato precesariano e non davanti ad un uomo che, avendo già vinto, ha il plauso militare e popolare, vuole sentire pareri ma cerca solo applausi e fa la sceneggiata per avere ulteriore consenso.
Infatti il loro pensiero è quello della vecchia theoria politica -specie quello di Eufrate- mentre il consilium di Apollonio è quello di una praxis politica.
I due teorizzano senza tener presente l’effettiva situazione del dicembre del 69, che è già in risoluzione, secondo le leggi del militarismo, applicate da un nikeths/vincitore: la loro via non è percorribile come già dimostrato nel dopo Caligola quando Senzio Saturnino ed altri proclamano il ritorno alla repubblica ed inneggiano alla libertà democratica!. La ventilata costituzione repubblica dura neanche un giorno e crolla al momento dell’ acclamazione militare pretoriana di Claudio imperator, favorita anche dalle milizie giudaiche presenti col re Agrippa I, civis iulius, di rango pretorio.
Apollonio, invece, che conosce storia e i fatti del presente e vede, da profeta, il futuro (non la cacciata dei Filosofi del 71!) ha un quadro più chiaro della situazione e sa orientare dando consiglio in nome dell’utile comunitario, ingannato, comunque, dalla struttura fisica massiccia e dal collo taurino di flavi, capace di mascherare l’estrema determinazione al potere con la bonomia dell’aspetto.
Egli, perciò, dissente dagli amici, -che non comprendono l’uomo, il duce, il padre, e neanche i fedeli partigiani – vedendo in Vespasiano l’eletto da Dio, che si sente investito dal numen e che crede in un destino radioso per lui e per la sua famiglia.
Senti, Marco, come il tianeo entri in empatia con Vespasiano, rimasto sconcertato davanti al consilium di Eufrate e di Dione, come se lui imperatore dovesse essere distolto dalla sua risoluzione proprio lui, che è tale ormai di nome e di fatto.
Il suo inizio è questo: a me pare che siate in errore proponendo di voler sopprimere la monarchia quando ormai le cose sono decise; vi compiacete in chiacchiere puerili ed inadeguate alle circostanze.
Il tianeo fa un punto situazionale, reale, immedesimandosi in Vespasiano- già vincitore contro Vitellio, che ha un esercito a lui fedele e ha figli indocili, come Domiziano, che si attendono di ereditare l‘oikos paterno, il regno conquistato anche con il loro sacrificio e benefattore dell’umanità- ed afferma che il discorso di Eufrate e di Dione potrebbe aver successo perché le sentenze dei filosofi hanno effetto sugli ascoltatori, che sono dediti alla filosofia, ma in situazione reale contingente diverso deve essere il consiglio, che è pratica non morale.
Così, infatti, sentenzia Apollonio, secondo Filostrato (ibidem35): se fossi io ad avere il potere che detiene questo uomo, e vi chiedessi in quale modo fare del bene all’umanità e voi mi deste un tale vostro consiglio, potrebbe aver successo.
ll tianeo, poi, passa dal piano privato a quello di un uomo pubblico ed afferma che essi consigliano un magistrato, un console, un uomo avvezzo a comandare, sul quale incombe la morte una volta che deponga il suo potere.
Apollonio da questa angolazione concreta politica, invita a non biasimare se il console non respinge i favori della sorte e li accetta quando vengono e chiede consiglio sul modo di usare secondo saggezza ciò che possiede.
Calzante ed efficace è l’esempio dell’atleta: come se noi, vedendo un atleta dall’animo gagliardo, di alta statura e fisico possente, che avanza verso Olimpia percorrendo l’Arcadia, ci presentassimo a lui per incitarlo contro i suoi avversari, ma gli suggerissimo, una volta che abbia vinto le olimpiadi, di non lasciarsi proclamare vincitore né di porsi in capo la corona di oleastro: daremmo l’impressione di parlare a vanvera e di prenderci beffe delle fatiche altrui.
E poi attualizza e concretizza il suo pensiero facendo una considerazione parallela: così considerando l’uomo che ci sta di fronte, le forze di cui dispone e le bronzee armature che rifulgono nel suo esercito e la cavalleria che lo segue, e la sua stessa nobiltà e saggezza ed attitudine a realizzare i suoi propositi, accompagniamolo nell’impresa a cui si è accinto con parole ben augurali e con garanzie più propizie di quelle che avete espresso.
Ed per concludere aggiunge al fine di chiarire la situazione familiare del dux : voi non avete considerato che egli è padre di due figli già condottieri di eserciti. Se non dovesse trasmettere loro l’impero diventerebbero i suoi più accaniti nemici e cosa altro gli rimarrà allora se non la prospettiva di entrare in guerra con la propria famiglia? Accettando l’impero, invece…sarà onorato da loro e si sosterrà su di loro ed essi a loro volta su di lui, Saranno le sue guardie del corpo, per Zeus, non gente assoldata né costretta a forza che simula lealtà solo sul volto, ma gli uomini più affezionati a lui e cari.
Ed infine conclude il suo pensiero in modo personale: a me non importa di alcuna forma di governo poiché vivo agli ordini degli dei, ma non voglio che l’umano gregge perisca per mancanza di un pastore giusto e saggio –Cfr. A. Filipponi, Il politico o Giuseppe, e Filone , De monarchia I,II- : un solo uomo eminente per virtù trasforma la democrazia nel governo del migliore e così il potere del singolo, quando sia in tutto rivolto verso l’utile comune, è governo popolare.
Apollonio circa l’accusa di Viltà, rivolta a Vespasiano afferma che anche essi possono essere così definiti ed anche lui che, però, in effetti ha sobillato Vindice- suicida, dopo il fallimento della sollevazione militare- ed ha contrastato OfonioTigellino e così conchiude: non pretenderò con questo di aver abbattuto il tiranno né accuserà voi di debolezza riguardo all’ideale del filosofo perché non aveva fatto nulla di simile. L’uomo amante della sapienza deve dire ciò che gli sta in mente, ma deve prestare attenzione a non parlare come uno stolto o un invasato.
Poi, riprendendo il discorso dell’uomo politico, di un console che si propone di abbattere il tiranno in primo luogo deve disporre di piani precisi , onde iniziare di sorpresa l’azione ed inoltre deve aver una motivazione atta ad evitare ogni accusa di spergiuro- per scusare l’imperatore di non aver complottato contro Nerone- aggiunge: Se infatti vuole portare le armi contro l’uomo che gli ha dato il comando di un esercito, a cui ha giurato di prestare il consiglio e l’azione nel modo migliore, occorre in primo luogo che si giudichi di fronte agli dei dimostrando che, secondo giustizia, viola il giuramento. Inoltre ha bisogno di molti amici poiché a tali imprese non si muove senza ripari e fortificazioni e di grandissime ricchezze, onde conquistare a sé i potenti, per di più levandosi contro l’uomo che possiede tutto quanto esiste sulla terra.
La sua conclusione definitiva è la seguente ed è basata sulla differenza di ruoli tra un sapiente come loro e un politico come Vespasiano: prendete come volete queste mie parole: non mettiamoci a giudicare ciò che quest’uomo ha progettato, a quanto pare, e la fortuna gli ha accordato prima che scendesse in lotta.
Perciò ribadisce la sua solidarietà all’imperatore e contrarietà ai suoi amici : L’uomo che ieri regnava incoronato dalle città nei templi di questo paese , che mirabilmente ed imparzialmente regge lo stato secondo voi oggi dovrebbe annunciare pubblicamente che per il futuro si ritirerà a vita privata e che ha preso il potere in un momento di follia? Portando a termine il suo progetto avrà come fedelissima scorta coloro in cui confidava quando lo concepì ,ma altrettanto rinunciando ad esso troverà in loro l’ostilità di chi ha perduto ogni fiducia.
Qual è il comportamento di Vespasiano nel corso del discorso di Apollonio?
L’imperatore è molto soddisfatto perché vede che il tianeo era come uno che abitava la sua mente e felicemente esprimeva il suo pensiero.
Ed afferma: io ti seguo perché quanto viene da te ritengo ispirato dalla divinità; dunque, insegnami ciò che deve fare il buon sovrano.
Professore, ora Vespasiano chiede forse ad un uomo divino, ispirato da dio, come deve comportarsi un buon sovrano e quindi chiede un paradigma operativo concreto per avere un modello nuovo di Basileus, di nomos empsuchos secondo una connotazione culturale ellenistica pitagorico-platonico stoica, basata sull ‘agathos in quanto chrestos?
La risposta di Apollonio è netta e non lascia spazio ad una lettura filosofica, ma autorizza solo un rapporto tra sovranità umana e bontà divina, lasciando intuire l’impossibilità di tradurre l’ineffabilità divina, perfino, con la funzione imperiale, secondo tutta la precettistica del III secolo a.C, propria dell‘Inno a Zeus di Callimaco.
Apollonio afferma che gli è chiesta cosa che non si può insegnare: la regalità è la cosa più grande che esista tra gli uomini, ma non si insegna!.
Comunque, subito dopo, comincia a dare con un’impostazione prescrittiva, un eptalogo sul retto agire di buon re dopo aver affermato: ti esporrò tutto ciò che a mio parere devi fare per agire rettamente.
Me lo può indicare, professore?
1. Considera ricchezza non i tesori che si usa riporre -sono sabbia- né il denaro che ti proviene da uomini che piangono sulle tasse- è oro falso e nero quello che viene dalle lacrime-. Userai delle tue ricchezze soccorrendo i bisognosi ed assicurando il possesso dei propri beni ai ricchi.
2. Trema di fronte al potere assoluto, di cui disponi, perché così ne farai un uso più moderato.
3. Non recidere -essendo ingiusta la sentenza di Aristotele- le spighe più alte ed eminenti, elimina piuttosto il malvolere come il loglio dal grano.
4.Da chi cospira, fatti temere non perché punisci, ma perché punirai.
5. La legge… regni pure su di te: sarai più saggio legislatore, se non trasgredisci le leggi esistenti .
6. Onora gli dei più di quanto hai fatto finora: hai ricevuto da loro grandi favori e grandi favori invochi nelle tue preghiere.
7.Tratta da re gli affari attinenti all’impero, ma da privato le cose del corpo.
Poi Il tianeo tratta di precetti generali, dopo aver mostrato il dovere di educare i figli – ne hai due giudicati valenti!- mediante l’ esercizio della propria autorità di pater familias fino a minacciarli di non lasciare loro l’impero se non continueranno ad essere buoni ed onesti inculcando loro che l’impero non spetta di diritto come eredità, ma come premio della virtù.
Aggiunge, in questa precettistica, che non c’è bisogno di dare consigli a proposito del gioco, del vino, dell’amore e della rinuncia di questi vizi, considerata la moderata predisposizione personale.
Apollonio fa poi un punto situazionale sui piaceri che in Roma hanno cittadinanza che sono molti e vanno eliminati ed infine tratta delle difficoltà di ridurre un popolo a completa saggezza occorrendo introdurre poco a poco misura negli animi, ora correggendoli scopertamente, ora senza farsi notare.
In conclusione, colpisce la piaga del lusso e dell’insolenza dei liberti e degli schiavi– la burocrazia congenita con lo stato-.
Filostrato usa il noi e il congiuntivo esortativo per indicare la necessità di un’unitarietà di azione da fare dall’imperatore, dal senato e dalla famiglia e dai singoli cives: mettiamo termine al lusso e all’insolenza dei liberti e dei servi ….avvezzandoli a pensieri tanto più umili, quanto più potente è il loro padrone.
Apollonio chiude il suo discorso col ricordo personale- nel periodo in cui viveva nel Peloponneso – di un governatore della Grecia che reggeva la provincia senza sapere il greco, mentre i greci non comprendevano alcunché di quanto diceva.
Il risultato di tale prefettura fu: (il governatore) per lo più ingannava ed era ingannato; gli assessori e i membri del suo tribunale facevano mercato delle sue sentenze abusando del governatore come se fosse uno schiavo.
Di conseguenza fa la critica dei governatori per sorteggio e dice : io sostengo che si debba mandare soltanto chi conviene al paese toccatogli per sorte, per quanto lo consenta il sistema. Chi parla greco regga i popoli di lingua greca, chi parla latino amministri i popoli che parlano questa lingua e i loro affini.
Marco, ora ho finito il mio discorso su Vespasiano e il regno, ed ho fatto l’ esame questa volta, non secondo Giuseppe Flavio, ma secondo Filostrato.
Grazie, professore. Io ho ancora, però, qualche curiosità.
Chiedo come Apollonio si comporti, poi, con gli amici e come Vespasiano si comporti con Apollonio.
Secondo Filostrato, Apollonio, già adirato con Eufrate, prima della controversia circa il principato, si distacca sempre più dall’amico, che arriva perfino ad alzare il bastone contro, anche se placa la sua ira; alla fine del regno di Domiziano ci sono ancora tra loro screzi e polemiche, utili ai fini dell’accusa contro il tianeo.
Con Dione la riappacificazione avviene tramite Vespasiano che, convinto dalle parole del sofista, ottiene di farli conversare di nuovo fra loro e li premia entrambi. Con Demetrio il rapporto rimane sempre stretto ed anche durante l’accusa e il processo di fronte a Domiziano.
Apollonio (e gli altri ) e Vespasiano si lasciano molto cordialmente tra abbracci e doni: l’uno va tra i Ginni di Africa e l’altro a Roma Dopo la separazione Filostrato informa: né si incontrò più con lui ..sebbene l’imperatore lo invitasse e gli scrivesse ripetutamente a tale proposito.
Lo scrittore, allora, parla delle ragioni per cui il tianeo interrompe la comunicazione con l’imperatore.
La ragione è la Grecia, per Filostrato: Nerone aveva restituito la libertà alla Grecia con un atto di saggezza a lui insolito: le città erano così tornate alle loro tradizioni doriche ed attiche e tutto rifioriva grazie alla concordia. Ma Vespasiano, quando vi giunse (dall’Egitto!), annullò tutti questi provvedimenti con il pretesto delle rivolte e di altri fatti. che non giustificano certo tanta ostilità.
Subito Apollonio gli scrisse tre lettere, una dietro l’altra:
Apollonio saluta Vespasiano imperator. Hai asservito la Grecia e, a quanto si dice, ritieni di aver più potere di Serse: non ti accorgi di averne meno di Nerone: Nerone,infatti, lo aveva e vi rinunciò. Sta bene.
Apollonio saluta Vespasiano imperator. Se sei tanto ostile ai greci da asservirli togliendo loro la libertà, che bisogno hai della mia compagnia? Sta bene.
Apollonio saluta Vespasiano imperator. Nerone per gioco liberò i greci, ma tu li hai sul serio ridotti in schiavitù. Sta bene.
Vespasiano non è, dunque, quello visto e considerato da Apollonio ad Alessandria, se subito dopo, Apollonio stesso rompe l’amicizia, si astiene dal collaborare e non vuole più incontrarlo?
Certo. Marco. Apollonio vede oltre il presente, ma non con la stessa intensità, ora dopo sei mesi, vede altro come la cacciata dei filosofi nel 71 e può meglio comparare il regno dei giulio-claudi con quello completo dei Flavi.
Professore, può davvero Apollonio vedere tanto ?!
Non lo so, Marco.Potrebbe, comunque! Le sue doti sono di un anhr theios.