L’Italia dell’analfabetismo

Da un’intervista del 1978 di Mario Gorini ad Angelo Filipponi
Professore, non le sembra strano che in una società acculturata, si parli di nuovo di analfabetismo?
A livello superficiale  può sembrare paradossale  che nelle società di rapido acculturamento, di alto benessere economico, democratiche, ci sia analfabetismo di ritorno, ma se si esamina il fenomeno, a livello profondo, si rileva che sono pochi coloro che detengono il potere culturale e che molti sono dipendenti e che gli uni hanno abilità di lettura e di decisionalità in situazione e gli altri ne sono privi.

Il fenomeno, infatti, esiste nei contesti industriali, dotati di capillari sistemi informativi,  scolastici, televisivi, in cui la suggestione della parola, della logica e della retorica opera una dipendenza, azzerando i processi di difesa  in elementi svantaggiati, mal strutturati e difettosamente impostati sul piano linguistico.

In cosa consiste effettivamente l’analfabetismo di ritorno?

Non è possibile trattare in un giornale sportivo, come Mariner, locale, un problema così complesso che investe moltissimi campi (famiglia, scuola, istituzioni pubbliche,ecc.) ed interessa molte discipline (psicologia, sociologia economia, pedagogia,storia), comunque, si può parlare di analfabetismo di ritorno quando c’è un’involuzione culturale, quasi un regresso ad uno stato di non crescita culturale, in cui l’individuo matura un sistema acquisitivo cognitivo, che produce una pseudocultura impostata sul piano formale, tesa ad apparire non ad essere, interessata all’immagazzinamento di immagini senza referenza e senza significato, in senso nominale, in una confusione sincretica, con accavallamento di informazioni vuote.
In tale situazione l’acquisizione passiva, memoriale, frammentaria, senza funzionalità ed operatività, impedisce  il passaggio da una fase culturale ad un’altra,  producendo dipendenza, non permettendo un autonomo sviluppo  della personalità.
E così… noi vediamo cultura dovunque, siamo tutti scrittori ed oratori, parliamo di problemi di qualsiasi genere in buon italiano (non in dialetto!) in modo corretto, (crediamo)  sul piano morfo-sintattico, con molta logicità (pensiamo), mandiamo a scuola i nostri figli,  che fanno perfino l’università, si addottorano ed appaiono sapientissimi.
In pratica,  però, noi e i nostri figli sembriamo belli  ma non lo siamo, appariamo migliori ma stiamo perdendo il contatto con la realtà, in quanto  abbiamo perso le abilità di base, che ci permettevano di vedere, di guardare, di sentire, di ascoltare, di intendere, di leggere come operazione concreta di un processo conoscitivo non solo formale, fonologico e referenziale di una catena linguistica significativa, ma soprattutto come comprensione del messaggio dell’altro, rilevato nelle strutture minime grammaticali sintagmatiche, nell’ incidenza e nella ricorrenza di un termine connotatore, nella genesi della logica e del pensiero dell’emittente, in rapporto al suo esistere personale, al suo essere contestuale, alla sua  volontà di rapportare e di comunicare nel momento creativo, in quanto risultanza di forze interattive di varia natura.
Abbiamo perso l’abilità dello scrivere, di saper fare di conto, di valutare, essendo passivi spettatori di programmi televisivi, non partecipi della vita  sociale, politica  e religiosa, non solidali, né oppositivi, ma solo indifferenti ed egoistici ragazzi,  operativo-concreti in senso piagetiano, ci serviamo della parola come veicolo informativo quotidiano, senza comunicazione.

Professore, da quanto detto sembra che noi procediamo sul piano delle acquisizioni  ma in effetti torniamo indietro rispetto perfino ai nostri nonni analfabeti e dipendenti?

Non è facile determinare se la situazione attuale di analfabetismo di ritorno possa essere definita di involuzione o di non crescita culturale o di stasi critica o di altro, ma certamente non può essere messa in relazione con quella del periodo del subito secondo dopoguerra, connotato da grande acculturamento, impegnato,  e da crescita in un momento di rinascita.
Non voglio neppure parlare di  tornare indietro, ma desidero dire che i nostri figli non sanno ascoltare né leggere, né scrivere  né fare di conto, ma sembrano saper fare operazioni molto più complesse (usare computers, manipolare video-giochi ecc.)non sanno vedere, né ripetere, né collegare, né coordinare, né collegare, nè coordinare, tanto meno concludere,  formulare, dimostrare con argomentazioni, anche se sanno parlare in lingua straniera con proprietà e correttezza.
Inoltre sicuramente non sanno adattarsi alle situazioni, né superarle in caso di difficoltà, né ingegnarsi o soffrire  per la soluzione, mentre sanno riunirsi in gruppi, lamentarsi, gridare,  contestare, distruggere in un’eccitazione collettiva.
Senza affrontare le responsabilità della famiglia e della scuola lei, professore, crede che i nostri figli possano cambiare?
A me risulta, dopo anni di insegnamento (Media, magistrali, classico-scientifico)  e di sperimentazione linguistica che dalla Riforma della Scuola Media Unificata  ad oggi c’è stato un continuo regresso di apprendimento e di insegnamento e che non ci è stata una vera volontà politica di riformare, ma solo di tappare  le falle  e, a volte, è parso  di scorgere una precisa  intenzione  di mantenere una situazione di alfabetizzazione  e di analfabetismo.
Tra i vertici della scuola e la scuola non c’è collegamento: le circolari sono opera di burocrati, che non conoscono la scuola, il suo funzionamento e la sua funzione e che fanno il loro mestiere,  usando un linguaggio  sibillino, ambiguo, tipico delle vecchie cancellerie,  beneficiando della loro posizione ottocentesca antiquata, essendo eredi di un sistema borbonico-papale, costosissimo, inutile e dannoso ai fini di un funzionamento scolastico reale.
Anche i sindacati fanno la loro parte nell’aumentare il caos perché cavillando sui termini  già criptici, dànno interpretazioni populistiche che aumentano le aspirazioni degli addetti ai lavori, insoddisfatti  nelle retribuzioni, impreparati culturalmente sfiduciati di fronte alla richiesta di una nuova scuola, davanti agli alunni, loro giudici, ormai del tutto immotivati allo studio,  staccati dalla lezione frontale, priva di interesse.
Inoltre mi risulta che non esiste una vera programmazione per ogni tipo di scuola, fatta da équipe specializzata, capace di coordinare il lavoro, di dare un segno specifico e tipico all’insegnamento  e che i vecchi programmi hanno bisogno di tagli, che nessuno sa fare opportunamente, per cui i contenuti sono invariati da decenni e le lezioni ripetitive.
I bambini, poi, quando entrano nella scuola  elementare hanno già un loro sistema di comunicazione, in quanto ognuno di loro ha già avuto una visione di programmi televisivi di circa 5000 ore, in cui l’occhio si è abilitato a rilevare ciò che è macroscopicamente piacevole, mentre l’orecchio è stato disabituato all’ascolto reale, in uno stato di ricettività passiva.
Mi risulta anche che lo stesso bambino arriva alla scuola media con  circa 2000 parole, quasi tutte conosciute  superficialmente senza referenze, con una struttura lessicale  morfo-sintattica,  inadeguata e sul piano nominale e verbale e su quello dei sistemi sintattici, inabile, quindi, alla costruzione del pensiero, ad una organizzazione tematica  ed ad una normale esposizione, essendo incapace perfino di copiare e fare accostamenti logici,  in quanto è mnemonico nello studio.
Mi risulta infine che all’ingresso nelle Scuole Superiori  lo stesso elemento presenta un numero di termini di poco più alto di quello precedente, sempre però, senza referenze  e significato, che è ancora di più mnemonico,  ancora incapace di operare e procedere  razionalmente e funzionalmente  e nel fare tema e nel leggere un racconto o poesia, inabile nelle conclusioni.
E mi risulta che agli Esami di Stato molti esaminati non conoscono i significati delle parole chiavi, fanno errori di ortografia  o di grammatica, non sanno minimamente dimostrare con argomentazioni né concludere secondo i normali processi di logica e di sintesi. D’altra parte noi insegnanti non possiamo dare abilità e capacità plurime, seppure  dobbiamo avere una competenza professionale  tale da guidare  ed orientare il processo formativo dell’alunno, anche se così svantaggiato.
Comunque, sarebbe necessario un nuovo sistema di reclutamento  del personale docente,  che dovrebbe essere formato dall’Università, aggiornato periodicamente, specie sul piano didattico e dovrebbe essere riqualificato nelle sue specifiche competenze  sul piano socio-pedagogico-medico e su quello storico-culturale, oltre che letterario e scientifico, in relazione alle discipline. Ritengo, perciò, che, vista la situazione da parte degli alunni e da quella degli insegnanti, oltre che dall’angolazione dirigenziale programmatica  e  contenutistica, la Scuola possa solo peggiorare, in quanto si incancreniranno  i problemi e la politica ha interessi a mantenere così gli studenti e gli insegnanti, assistendo gli uni e gli altri  senza capire che, così facendo, si azzera la cultura e con essa la vita stessa di una nazione.
Ritengo, dunque, che, vista la politica,  in Italia sia difficile perfino una pur  piccola svolta, anche se ci sono deboli segni nel campo della sperimentazione  linguistica e si possono cogliere dei nuovi approcci sulla base della lettura testuale e non più della insulsa ricerca, ma sono solo palliativi, irrilevanti in un problema così complesso come quello scolastico. Ogni tentativo serio è stato sempre vanificato da altre politiche, tese a soddisfare ora gli alunni, ora i genitori, ora  gli insegnanti  spinti ad aggiornarsi  e a seguire tecniche avanzate sia sul piano delle conoscenze che su quelle della valutazione, in modo da dare una formazione migliore al ragazzo, senza, però, motivarli con una adeguata retribuzione.
Comunque, siamo sul piano dello spontaneismo privato e lontani da una rivoluzione scolastica, necessaria ai fini di un effettivo cambio di tendenze  di orientamenti e di formazione.