Marco (12, 41-44) tratta di una vedova che mette in una shupharot del gazophulakion due spiccioli/leptà, equivalenti ad quadrante cioè 1/4 di asse (una moneta del valore di 50 centesimi di euro, cioè di circa mille vecchie lire).
Gesù – questa è la mia ricostruzione del fatto – si trovava nel cortile delle donne, una zona che era separata dal cortile degli israeliti da un muretto ed aveva all’intorno delle colonne, che sorreggevano il matroneo, da cui si poteva assistere ai sacrifici e alle funzioni del tempio. In questi portici c’erano 13 bossoli/buche, a forma di corno, disposti in modo che chi passava poteva deporre monete, che calavano giù ed arrivavano nella stanza del tesoro.
Un fedele, circonciso – era vietato severamente ai non circoncisi entrare sia nel cortile degli ebrei che in quello della donne, pena la morte: un’iscrizione sulle monumentali porte di ingresso del tempio vietava l’accesso ai pagani- poteva andare al cortile degli israeliti dal cortile delle donne, mediante 15 gradini.
Dai bossoli il denaro, dunque, confluiva, da varie parti, a seconda della disposizione dei corni, nella vasta sala del gazophulakion come elemosina o come tributo per il tempio (la doppia dracma): questo costituiva il tesoro del tempio dove c’erano addetti al raggruppamento delle singole entrate, in relazione alle porte di ingresso del tempio e dove c’erano depositi pubblici statali con proprio sigillo, ma anche di comunità distinte per segni, e perfino di conti privati, custoditi in sacchetti, dopo che le monete erano state accertate nella loro autenticità di conio – date le tante contraffazioni – e contrassegnate con il timbro templare con certificato di probatio, che attestava che i saggiatori l’avevano provato e comprovato (solo allora il deposito era definito pecunia clusa et obsignata).
Insomma, il gazophulakion era una banca/trapeza (cfr. A. Petrucci, Mensam exercere, Studi sull’impresa finanziaria romana, Iovine, Napoli, 1991), la banca più grande degli ebrei – perfino di quella di Alessandria – ed aveva molti gestori, con un tamias, responsabile, di stirpe sacerdotale, che – di solito – era collegato con lo strategos, di nomina del sinedrio, ambedue.
Gesù, dunque, era davanti al gazophulakion.
Perché un profeta, un maestro, un uomo spirituale sta davanti al gazaphulakion? Strano!
Ancora di più mi sorprende che stia seduto proprio davanti alle bocche del Gazophulakion.
Se fosse un re ed avesse potere censorio, invece, avrebbe anche un significato lo stare presso una delle 13 supharot?!
Comunque, qualsiasi cosa stesse facendo nel tempio, Gesù che stava seduto (kathisas katenanti tou gazophulakiou – proprio di fronte al tesoro – katenanti fa supporre una volontà di inquisire, come anche etheoorei) esaminava, non stava a guardare, da curioso, il modo come l’ochlos popolo gettasse denaro nel tesoro!
Marco parla dell’obolo (è moneta greca del valore simile al quadrante latino) della vedova, dopo il tributo a Cesare, a seguito della confutazione dell’errore dei sadducei sulla resurrezione (ouk estin theos nekroon alla zoontoon: polu planaste/è dio non dei morti ma dei viventi: errate molto), della proclamazione dell’amore del prossimo come primo comandamento, della propria proclamazione come Messia, Signore più che Figlio di Davide in una correzione della lettura degli scribi, apostrofati come uomini che amano passeggiare in lunghe vesti, rivere saluti nelle piazze avere i primi seggi nelle sinagoghe, i primi posti nei conviti, divorare le case delle vedove, fare ostentazione delle lunghe preghiere.
Il racconto di Marco, quindi, è nodale in quanto subito dopo l’evangelista fa un discorso escatologico, mostrando l’inizio dei dolori e il vertice della tribolazione (tutti termini spie dell’avvenuta distruzione del tempio e della città) per giungere a focalizzare la venuta del Figlio dell’uomo sconosciuta a tutti (perfino agli angeli e allo stesso Figlio) e nota solo al Padre, per cui c’è l’esortazione a vegliare con l’uso di tre termini blepete, agrupneite… grhgoreite (anafora di quest’ultimo con poliptoto/ina grhgorhi).
Noi abbiamo parlato a lungo di discorsi apocalittici ed escatologici e rinviamo ad altri studi (Apokalupsis – curiosità – ed altrove), qui mi preme rilevare che lo studio sulla vedova da parte di un maran/re, che esamina i suoi sudditi (specie sadducei e scribi, filoromani) versare nel tesoro del tempio, ha un altro valore rispetto a quello dato dalla tradizione…
Dopo la purificazione del tempio, il maran può aver chiesto un contributo ai suoi sudditi? Come Oro alla patria di Mussolini, fissato per la Giornata della fede il 18 Dicembre 1935?…!
Chi attende ancora la venuta del Signore, come parousia/ritorno, presenza divina, invece, intorno alla fine del primo secolo d.C., mira a risolvere tutto in un ammaestramento morale secondo quanto detto da Christos che rileva come la vedova (definita non khhra ma auth h ptookhh), anche se poveretta, ha gettato più di tutti (pleion pantoon ebalen toon ballontoon), dando una spiegazione divina – solo un dio può vedere quanto versato e sapere la verità! – di quanto dato da tutti gli altri (to perisseuon il superfluo), rispetto al versato dalla vedova che ha dato tutto ciò che ha, cioè tutta quanta la sua vita/panta osa eiken, olon ton bion auths.
La conclusione di Marco è, dunque, che la poveretta dà tutto ciò che ha, mentre tutti gli altri solo il superfluo, in una esaltazione dei poveri rispetto ai ricchi (condannati!), degli ultimi rispetto ai primi, in un rovesciamento delle situazioni, secondo la retorica delle antitesi.
Una facile lezione morale, amici cristiani, puzza – tanto – di inganno, da parte del nuovo sacerdozio christianos!